Malattia. Se richiesta dal lavoratore l'Azienda è tenuta a precisare le date delle assenze.
IN CASO DI LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO DEL COMPORTO DI MALATTIA L'AZIENDA E' TENUTA, SE RICHIESTA DAL LAVORATORE, A PRECISARE LE DATE DELLE ASSENZE - In base all'art. 2 L. n. 604/66 (Cassazione Sezione Lavoro n. 18861 del 30 agosto 2010 Pres. Miani Canevari, Rel. De Renzis).
Giuliano S. dipendente dell'Asa - Azienda Speciale Ambiente di Tivoli è stato licenziato per superamento del periodo di comporto di malattia con telegramma del seguente tenore: "Con l'ultimo certificato medico da lei prodotto (malattia dal 28 dicembre 2001 al 16 gennaio 2002) ha superato i 365 giorni di malattia".
Il lavoratore ha chiesto all'azienda di conoscere i motivi del licenziamento.
Poiché l'Asa non ha risposto, egli ha chiesto al Tribunale di Tivoli l'applicazione dell'art. 2 L. n. 604/66 secondo cui se il datore di lavoro non risponde entro sette giorni alla richiesta dei motivi del licenziamento, questo deve ritenersi inefficace.
Il Tribunale ha accolto la domanda, in quanto ha ritenuto che alla richiesta dei motivi, avanzata dal lavoratore, l'azienda avrebbe dovuto rispondere specificando le date delle assenze per malattia, essendo insufficiente la generica indicazione del loro totale. Questa decisione è stata confermata, in grado di appello, dalla Corte di Roma.
L'azienda ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo, tra l'altro, che essa non aveva l'obbligo di allegare il prospetto analitico di tutte le assenze del lavoratore, non avendone quest'ultimo fatto specifica richiesta.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 18861 del 30 agosto 2010, Pres. Miani Canevari, Rel. De Renzis) ha rigettato il ricorso.
Il lavoratore - ha osservato la Corte - ha chiesto di conoscere i motivi del licenziamento ex art. 2 della legge n. 604 del 1966 e tale richiesta è stata interpretata dal giudice di appello, alla stregua di tale disposizione, come rivolta ad ottenere anche l'indicazione dei singoli giorni di assenza per malattia, non essendo sufficiente la comunicazione del complessivo numero delle assenze effettuate, e ciò al fine di garantire una più puntuale difesa del lavoratore. Tale interpretazione - ha affermato la Corte - consegue a motivato accertamento in fatto, cui la ricorrente società replica con una diversa ed opposta interpretazione, come tale non ammissibile in sede di legittimità.