Lavoro a termine.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE LAVORO, SENTENZA N. 24708 DEL 28 NOVEMBRE 2007
Presidente Senese – Relatore Miani Canevari - Pm Patrone– Ricorrente Casa di Cura “Russo
Mater Dei” di G. Nesi & C. Srl ed altro – Controricorrente Bonomo
Svolgimento del processo
Grazia Bonomo ha convenuto in giudizio la Casa di Cura «Russo Mater Dei» di G. Nesi & C. s.r.l. deducendo di aver lavorato alle dipendenze della società come infermiera professionale dal mese di aprile 1998 al 19 dicembre 1999 senza soluzione di continuità nell'ambito di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato; nel settembre 1998 la datrice di lavoro aveva comunicato la cessazione del rapporto a termine instaurato per la sostituzione della dipendente Rosaria D'Ippolito, e la contestuale riassunzione dal 2 settembre 1998 in sostituzione dell'infermiera Patrizia Amoroso; successivamente, con lettera del 18 dicembre 1999, aveva comunicato la cessazione del rapporto di lavoro per fine maternità della Amoroso. La lavoratrice aveva impugnato il licenziamento così intimato con comunicazione diretta alla società e all'Ufficio del Lavoro, anche ai fini del tentativo obbligatorio di conciliazione.
Ciò premesso, la sig. Bonomo ha chiesto l'accertamento della esistenza di un rapporto a tempo indeterminato con decorrenza dall'aprile 1998 e della nullità ed inefficacia del termine apposto al contratto e della risoluzione del rapporto; in subordine, della trasformazione del contratto in rapporto a tempo indeterminato a seguito della prosecuzione dell'attività lavorativa dopo la cessazione dell'astensione obbligatoria della Amoroso. Ha chiesto quindi l'accertamento della continuità del rapporto di lavoro, con la condanna della convenuta alla reintegrazione dell’attrice nel posto di lavoro e al risarcimento del danno; la condanna, inoltre, al pagamento di differenze retributive.
Il primo giudice ha rigettato le domande, con decisione che la Corte di Appello di Catania ha riformato con la sentenza oggi impugnata. Il giudice dell'appello ha dichiarato la sussistenza tra le parti di un rapporto a tempo indeterminato instauratosi in data 8 giugno 1998, condannando la casa di cura al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni maturate dal 3 febbraio 2000. La decisione si basa sui seguenti rilievi: - il rapporto di lavoro aveva avuto esecuzione dall'8 giugno 1998, senza che tra le parti fosse stato stipulato alcun contratto a termine, e non era mai cessato, non essendosi compiuto alcun termine validamente apposto;
- non poteva essere accolta la domanda di reintegrazione ai sensi dell'art. 18 Stat. Lav., ma spettava il risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni maturate dal momento in cui si era verificata la mora accipiendi del datore di lavoro con la lettera volta all'espletamento del tentativo di conciliazione.
Avverso questa sentenza la Casa di Cura «Russo Mater Dei» propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Bonomo resiste con controricorso e ricorso incidentale con due motivi.
V’è memoria della ricorrente principale. […]
Motivi della decisione
1. I ricorsi proposti contro la stessa sentenza devono essere riuniti ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ.
2. Con il primo motivo del ricorso principale la Casa di Cura «Russo Mater Dei» denuncia la violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. rilevando che la Bonomo aveva proposto un'azione di impugnazione di licenziamento invocando la tutela dell'art. 18 Stat. Lav.; il giudice dell'appello, che ha riconosciuto l'inapplicabilità di questa tutela, non poteva emettere la condanna al risarcimento del danno senza ledere il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, data la diversità dell'azione proposta rispetto alla domanda accolta.
3. Con il secondo motivo dello stesso ricorso si denuncia la violazione degli artt. 1209, 1217 cod. civ. e 80 disp. att. c.c. La sentenza impugnata, richiamando il principio di diritto secondo cui al dipendente che cessi l'esecuzione della prestazione lavorativa alla scadenza del termine invalidamente posto non spetta la retribuzione finché non provveda ad offrire la prestazione stessa, ha erroneamente ravvisato una situazione di mora accipiendi del datore di lavoro a seguito dell'invio di lettera volta all'espletamento del tentativo di conciliazione. Si contesta che tale comunicazione, diretta all'Ufficio provinciale del Lavoro, valga a manifestare l'effettiva disponibilità della dipendente mettendo concretamente a disposizione dell'azienda le proprie energie lavorative.
4. L'ultimo motivo del ricorso principale, con la denuncia di violazione degli artt. 1223 e 2697 cod. civ., investe la statuizione in ordine alla liquidazione del danno, in relazione alla mancata prova, da parte dell'attrice in primo grado, del pregiudizio concretamente subito.
5. Con il primo motivo del ricorso incidentale la sig. Bonomo denuncia una violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. in relazione alla liquidazione del danno con esclusione delle retribuzioni maturate dal 18 dicembre 1999 al 3 febbraio 2000; rileva l’assenza di contestazioni mosse dalla controparte in ordine all'entità del ristoro richiesto dalla lavoratrice, assume che il giudice di merito non poteva d'ufficio limitare la decorrenza e l'entità del risarcimento.
6. Il secondo motivo dello stesso ricorso, con la denuncia di violazione degli artt. 1217 e 1223 cod. civ., investe la stessa statuizione con cui il risarcimento del danno è stato limitato al periodo successivo al 3 febbraio 2000. Si sostiene che la sig. Bonomo «ha continuato a prestare la propria attività lavorativa, anche dopo la cessazione della causa che aveva determinato l'apposizione di un termine ... e cioè l'assenza per maternità e puerperio dell'infermiera Patrizia Amoroso e fino a quando la Casa di Cura le ha notificato la lettera datata 18 dicembre 1999». La sig. Bonomo non ha dunque cessato di fatto l'esecuzione della prestazione, ma le è stato impedito di effettuarla, e non è dubbia la sua volontà e disponibilità a proseguire l'attività lavorativa.
7. Il primo motivo del ricorso principale non merita accoglimento. Nel caso di specie, il giudice dell'appello ha ritenuto validamente proposta dalla lavoratrice la domanda di risarcimento del danno connessa alla richiesta di accertamento della continuità del rapporto di lavoro, indipendentemente dalla domanda di tutela ex art. 18 Stat. Lav. per le conseguenze del dedotto licenziamento illegittimo.
Secondo la costante giurisprudenza, l'interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, per cui, ove questi abbia espressamente ritenuto che una certa domanda era stata avanzata - ed era compresa nel thema decidendum - tale statuizione, ancorché erronea, non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo comunque il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione dovesse ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato la erroneità di quella medesima motivazione. In tal caso, il dedotto errore del giudice non si configura come "error in procedendo", ma attiene al momento logico relativo all'accertamento in concreto della volontà della parte e quindi una carenza nell'interpretazione di un atto processuale, ossia un vizio sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione (cfr. per tutte Cass. 18 aprile 2006 n. 8953, 31 luglio 2006 n. 17451).
Nessuna specifica censura con tale oggetto è stata formulata dalla parte, e ciò preclude la possibilità di un esame diretto degli atti da parte di questa Corte in relazione al dedotto error in procedendo.
8. Il secondo motivo è fondato. Secondo il costante orientamento di questa Corte (v. per tutte Cass. Sez. Un. 8 ottobre 2002 n. 14381) nell'ipotesi di scadenza di un termine illegittimamente stipulato, e di comunicazione al lavoratore, da parte del datore di lavoro, della conseguente disdetta, al dipendente che cessi l'esecuzione della prestazione lavorativa per attuazione di fatto del termine nullo non spetta la retribuzione finché non provveda ad offrire la prestazione stessa, determinando una situazione di mora accipiendi del datore di lavoro (situazione, questa, che non è di per sé integrata dalla domanda di annullamento del licenziamento illegittimo con la richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro): in base allo stesso principio si deve escludere anche il diritto del lavoratore ad un risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni perdute per il periodo successivo alla scadenza, così come, dalla regola generale di effettività e corrispettività delle prestazioni nel rapporto di lavoro, deriva che, al di fuori di espresse deroghe legali o contrattuali, la retribuzione spetta soltanto se la prestazione di lavoro viene eseguita, salvo che il datore d lavoro versi in una situazione di mora accipiendi nei confronti del dipendente, in conseguenza dell'ingiustificato rifiuto della prestazione da quest'ultimo offerta.
La Corte territoriale non si è attenuta a questo principio, pur espressamente richiamato nella sentenza, perché, dopo aver rilevato che la situazione di mora accipiendi del datore di lavoro non poteva essere di per sé integrata dalla richiesta del lavoratore di reintegrazione formulata con la impugnazione del licenziamento, ha poi contraddittoriamente affermato che nella specie tale situazione si era concretata a seguito dell'invio dalla lettera del 3 febbraio 2000, volta all'espletamento del tentativo di conciliazione (indirizzata, secondo la Bonomo, sia all'Ufficio provinciale del Lavoro che alla Casa di Cura), pur in assenza di concreti elementi indicativi di un'effettiva manifestazione di volontà della ricorrente in primo grado di mettere a disposizione della società le proprie energie lavorative.
9. L'esame del terzo motivo resta assorbito con l'accoglimento del precedente mezzo. 10. Il primo motivo del ricorso incidentale appare infondato. Non è configurabile alcun vizio di extrapetizione, atteso che la contestazione da parte della convenuta della fondatezza della pretesa azionata, e quindi della esistenza di un diritto al risarcimento del danno, imponeva al giudice adito, con l'accoglimento della pretesa della Bonomo, di determinare l'entità del ristoro spettante.
11. L'esame dell'ultimo motivo del ricorso incidentale resta assorbito per le considerazioni già sopra svolte.
12. La sentenza impugnata va dunque annullata in relazione al motivo accolto. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell'art. 384 cod. proc. civ. con il rigetto della domanda proposta da Grazia Bonomo per il risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni maturate.
La valutazione dell'esito complessivo della lite impone di ravvisare giusti motivi di compensazione delle spese dell'intero processo.
PQM
La Corte riunisce i ricorsi. Accoglie il secondo motivo del ricorso principale, dichiara assorbiti il terzo motivo del ricorso principale ed il secondo dell'incidentale.
Rigetta il primo motivo del ricorso principale ed il primo motivo dell'incidentale.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito rigetta la domanda proposta da Grazia Bonomo per il risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni. Compensa tra le parti le spese dell'intero processo.