Dipendente Ente Pubblico, ha diritto .... per le mansioni superiori.
IL DIPENDENTE, DI FATTO, DI UN ENTE PUBBLICO HA DIRITTO AL TRATTAMENTO ECONOMICO PER LE MANSIONI SVOLTE
- Anche se non assunto per concorso (Cassazione Sezione Lavoro n. 7376 del 28 marzo 2014, Pres. Vidiri, Rel. Marotta).
Antonella M. ha lavorato presso il Coni con contratti di collaborazione coordinata e continuata come segretaria addetta all'amministrazione e ai contatti con il pubblico con specifici orari e turni di lavoro. Cessato il rapporto la lavoratrice ha chiesto al Tribunale di Livorno di accertare che ella aveva lavorato in condizioni di subordinazione e di condannare il Coni al pagamento di differenze di retribuzione e spettanze di fine rapporto.
Il Tribunale, svolta l'istruttoria, ha accolto le domande.
In grado di appello la Corte di Firenze ha confermato la decisione del Tribunale. L'ente ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte fiorentina, tra l'altro, per non avere considerato che la lavoratrice non era stata assunta per pubblico concorso come previsto per gli impiegati del Coni.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 7376 del 28 marzo 2014 Pres. Lamorgese, Rel. D'Antonio) ha rigettato il ricorso.
Per costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità - ha rilevato la Corte - un rapporto di lavoro subordinato sorto con un ente pubblico non economico per i fini istituzionali dello stesso, nullo perché non assistito da un regolare atto di nomina o addirittura vietato da norma imperativa, rientra pur sempre sotto la sfera di applicazione dell'art. 2126 c.c., con conseguente diritto del lavoratore al trattamento retributivo e alla contribuzione previdenziale per il tempo in cui abbia avuto materiale esecuzione.
Quanto alla sussistenza del rapporto di lavoro subordinato - ha osservato la Corte - deve rilevarsi che le censure dei ricorrenti sono del tutto generiche non deducendosi né l'illogicità della motivazione, né l'omessa valutazione di circostanze di fatto decisive a dimostrare la natura autonomia del rapporto. La Corte d'Appello ha affermato che gli enti appellanti avevano dato atto che la prestazione lavorativa di Antonella M. era iniziata nel 1989 ed era ancora in corso nel 1999 e che, tuttavia nulla avevano riferito circa le dettagliate testimonianze dalle quali si desumeva con certezza il carattere continuativo e regolare della prestazione di Antonella M. quale segretaria addetta all'amministrazione ed ai contatti con il pubblico in base a specifici orari e turni di lavoro.
La rilevanza della volontà delle parti ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro - ha osservato la Cassazione - non può essere disgiunta da una verifica in concreto delle caratteristiche e modalità di svolgimento del lavoro in ordine alla quale non sono elementi irrilevanti la continuità della prestazione, la retribuzione percepita l'inserimento stabile e prolungato nell'organizzazione degli enti.